Dal Vangelo secondo Marco 6,7-13
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Gesù prende una decisione che risulterà determinante anche per il prosieguo della sua storia e di quelli dei cristiani: mettersi in cammino. Una semplice azione missionaria direbbe subito qualcuno. È, invece, un cammino che prevede quella che cela una proposta inaspettata e stupenda nel medesimo tempo. Non si tratta di un cammino alla ricerca di proseliti. L’annuncio dovrà essere finalizzato a tutti perché ciascuno, con la massima libertà, aderisca nel pieno consenso, ad un progetto di liberazione.
I Dodici sono inviati a due a due nel mondo.
Non camminano da leaders, né tanto meno come Diogene che andava con una lanterna alla ricerca dell’uomo. Per Diogene la virtù consisteva nell’evitare qualsiasi piacere fisico superfluo; rifiutavadrasticamente, e non senza esibizionismo, i valori tradizionali come la ricchezza, il potere, la gloria, mentre sofferenza e fame erano positivamente utili nella ricerca della bontà.
Gesù propone esattamente il contrario. Non chiede di essere stoici e di fustigarsi. Invita i suoi a portare il suo messaggio di liberazione avendo con sé soltanto un bastone, i sandali e un unico abito. Sembrerebbe trattarsi di una proposta che indica e conduce ad una scelta di povertà assoluta, proprio alla stregua del filosofo greco. Ma non si tratta di un viaggio dai connotati “spartani”. È esattamente un‘esperienza pari a quella che scapparono dall’Egitto per raggiungere la terra promessa. La notte della liberazione l’affrontarono con i fianchi cinti, i calzari ai piedi e un bastone in mano.
Come nel primo esodo gli Ebrei furono liberati dalla schiavitù d’Egitto, così l’annuncio di Cristo conduce, coloro che vi aderiscono, alla liberazionedalle schiavitù del peccato e ad avere in contraccambio una vita “da beati”.
Una proposta che ci riporta ai nostri giorni. Nell’epoca post millennium che viviamo, dove nell’immaginario collettivo la cultura propone un Crocifisso che fa ornamento, una svolta scientifica senza cuore e senza etica e l’indicazione di un cristianesimo dai contorni folcloristici o mercantili, Gesù rilancia un’evangelizzazione dai contorni della liberazione per cogliere chi è il Cristo e cosa vuole che si realizzi. Non chiede un “tour” o una passerella su cui mostrarsi; non vuole un cristianesimo da baraccone o meeting in cui mostrare le bellezze da museo, ma una vita in cui si viva liberi e in cui si contribuisca a liberare l’umanità dalle schiavitù in cui è precipitata.
Una proposta che dovrà vedere la comunità ecclesiale impegnata nel progettare un cammino con una ministerialità di liberazione. Lo dice chiaramente ai Dodici e lo ridice a ciascuno di noi: scacciare i dèmoni e ungere i malati.
In altri termini:
impegnarsi contro i “mali” dell’umanità: indifferenza, solitudine, apatia, anoressia, bulimia,mercificazione del corpo; esperienze che contraddistinguono parte della nostra società che cerca di fare denaro senza investire o lavorare;
impegnarsi contro i “mali” fisici e soprattutto le malattie, oltre che denunciare e cercare il modo più opportuno perché in ogni angolo sia data a tutti l’opportunità di curarsi; denunciare i tempi delleliste di attesa chilometriche che caratterizzano la nostra sanità e porre termine ai tanti viaggi della speranza concessi solo a chi può permettersi di curarsi perché ha reali possibilità economiche;
impegnarsi contro la fabbricazione delle armi e non accettare la logica della guerra e della violenza, oltre che educare alla pace e alla non-violenza nelle scuole come nelle parrocchie presentando in queste ultime il Vangelo come forma di incontro con Cristo che è amore, pace e gioia.
Gesù indica la strada per una comunità che libera ed annuncia, per poi passare senza spassare, ad amare per sempre.
Il vostro parroco
Antonio Ruccia