Dal vangelo secondo Marco (Mc 16, 15-20)
In quel tempo, [ Gesù apparve agli Undici ] e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.
Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano.
Non è la fine. È semplicemente il punto di partenza. È l’inizio di un cammino in cui non mancano le “sfide” da affrontare. Gesù sale al cielo e non pone un punto alla sua missione. Ha piena fiducia nei suoi discepoli tanto da affidargli il mandato di andare in tutto il mondo ad annunciare la sua proposta d’amore.
Quella di Gesù non è una “sfida” nei confronti dei suoi uccisori che avevano pensato di aver risolto la storia di un visionario e di un impostore che aveva coinvolto una parte non indifferente della gente. Non è nemmeno una vendetta dopo l’apparente sconfitta di quel tragico venerdì pre-pasquale in cui lo avevano inchiodato ad una croce esponendolo al ludibrio dell’umanità.
E’ l’inizio di una storia che da allora innanzi avrebbe dovuto avere come protagonisti uomini e donne decisi a raggiungere nuovi obiettivi nella loro vita, ma soprattutto disposti a dare un senso all’insignificanza della vita di tanti che vedono scorrere i loro giorni nel vuoto, senza pensare di poter stravolgere quanto scivola verso il nulla.
È l’inizio di una storia nuova. Una di quelle che nessuno aveva scritto fino ad allora. Non la storia delle battaglie di Cesare o di Augusto; non la storia delle arringhe di Cicerone nel senato romano o nel foro dell’Urbe. E’ l’inizio di una storia in cui Gesù chiede che siano protagonisti non solo i discepoli, ma anche tutte le persone ci mettano il cuore e escano dal tritacarne di ogni società che spesso prepara uomini e donne in serie, sfornati senza un’anima e soprattutto senza cervello pensante.
Ai discepoli “dai piedi lavati” che, nonostante fossero passati quaranta giorni dalla Pasqua, sentivano ancora l’ebbrezza dell’acqua che lo stesso Gesù aveva versato sui loro piedi; a loro che, nonostante avessero vissuto per ben tre anni con il Maestro, pensavano di aver perso le “sfide” che aveva lanciato, Gesù affida un nuovo compito: diventare liberanti.
Pronti a sciogliere dalle catene tutti coloro che si trascinano. Pronti a sciogliere dai traumi tutti i perdenti della storia che provano a nascondersi dietro i paraventi della loro insignificanza. A loro affida le “sfide” di ogni epoca e chiede di porre fine ad ogni sopruso.
Li vuole “sfidanti” contro ogni logica di morte; li vuole sfidanti contro le guerre che spesso sono addirittura dichiarate giuste; li vuole intelligenti nella ricerca contro le malattie e li vuole “sfidanti” contro le discriminazioni soprattutto quando sono rivolte verso la disabilità, la povertà o la mancata accoglienza per chi arriva da un’altra parte delmondo.
A questo nuovo popolo fatto di persone che “sfidano” l’impossibile, Gesù traccia un percorso nuovo. Per questo non li vuole “perdenti”. I discepoli “dai piedi lavati” non timbrano mai il passaporto della scontentezza, non si accontentano di coloro che li etichettano come brava gente; non amano amare con il bilancino del farmacista e non vanno alla ricerca del denaro ritenendolo prioritario per l’annuncio della “bella notizia”.
Con l’Ascensione comincia il cammino di una comunità diversa. Una comunità mai piangente, mai perdente e soprattutto mai solo prudente. Una comunità profetica ed evangelizzante: una comunità credente.
È una comunità non di “sfigati”, ma di “sfidanti” che mettono al primo posto Cristo, un Cristo coinvolgente, trasformante e liberante, chiamata ad annunciare l’amore che libera e non che ingabbia; chiamata ad annunciare un amore strabiliante e mai perdente.
Una comunità di “sfiniti” per il lavoro, ma mai “finiti” perché è un percorso infinito indirizzato verso mete infinite.
Il vostro parroco
Antonio Ruccia