DAL VANGELO DI MATTEO (21, 28-32)
In quel tempo, disse Gesù ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: “Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli; rivoltosi al primo disse: ‘Figlio, và oggi a lavorare nella vigna’. Ed egli rispose: ‘Sì, signore’; ma non andò. Rivoltosi al secondo, gli disse lo stesso. Ed egli rispose: ‘Non ne ho voglia’; ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?” Dicono: “L’ultimo”. E Gesù disse loro: “In verità vi dico: I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio. E’ venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi, al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli”
Un uomo propone ai suoi due figli di lavorare nella sua vigna. Un’esperienza che farebbe pensare a qualcosa di gravoso. In realtà, quel padre sta affidando loro la cosa più preziosa che aveva.
La vigna in ambito biblico non è semplicemente un appezzamento di terra coltivato per la produzione dell’uva, ma è quella terra feconda in grado di generare nuovi figli. È la vite il primo seme che Noè pianta dopo il diluvio. Per questo motivo la vite è segno di benedizione per il popolo d’Israele, è segno di fecondità. Ma profeti come Amos e Sofonia affermano che coloro che opprimono il povero o sono infedeli alla Legge mosaica, non berranno del frutto della vite. Gesù stesso si paragona alla vite e individua nei tralci legati alla vite il compito i credenti chiamati a realizzare il regno di giustizia e di pace fecondando quel mondo che non lo conosce.
Si evince subito che la proposta che il padre fa nei confronti dei figli non rientra in un comando, ma in qualcosa di grandioso. Ritiene i suoi all’altezza di“fecondare”, tanto da non indicare a nessuno dei due come rendere quella vigna piena di grappoli, ma si affida completamente alla loro creatività.
Le reazioni sono opposte.
Il primo non si lascia scalfire per nulla dall’invito. Risponde positivamente alla chiamata, ma in seguito si dilegua. Insomma, preferisce restare ai margini della vigna e non ritiene opportuno dare il suo contributo per la causa della fecondità della vigna. Il secondo ha una reazione inizialmente scontrosa. Rifiuta immediatamente la proposta. In seguito, si ravvede al punto da decidere di andare a lavorare nella vigna e di realizzare quanto il padre gli aveva domandato.
Il primo è il figlio della formalità, della facciata, di chi crede solo in se stesso e non ritiene di mettersi in discussione. È il figlio della borghesia “per bene” che non manca mai agli appuntamenti ufficiali, ma che è sempre impegnato quando bisogna compiere una scelta di dono. È l’eterno assente che conosce a menadito il “libro delle scuse” e lo conosce così nei dettagli da non ritenersi mai secondo ad alcuno.
L’altro, quello che emotivamente reagisce con disprezzo quando è invitato a cambiare la sua vita, è il figlio della misericordia. Il suo non è un tornare sulle sue posizioni. In tal caso sarebbe anche lui un figlio della formalità, ma è il figlio della disponibilità al mondo. Non si mette in discussione perché intende recuperare nei confronti del padre sperando che alla fine questi si dimostri benevolo, ma perché ha colto che non si tratta di una proposta di lavoro, ma di un impegno di amore per fecondare il mondo.
SCROSTARE è la prima azione da compiere per giungere a concretizzare quanto ha fatto il secondo figlio. Scrostare cioè togliere ciò che impedisce di vedere e realizzare il bello. Il cristiano della formalità non consegue mai dei risultati, al contrario del cristiano della misericordia che non riscatta solo la sua vita, ma contribuisce a realizzare l’amore nella vita di tutti.
SCAVARE diventa così conseguenziale. Nessun progetto di misericordia si concretizzerà se alla fine quel figlio andato a lavorarenon sarà in grado di accogliere i poveri e gli ultimi. Quell’espressione che lascia basiti tutti (noi compresi), in cui Gesù afferma che le prostitute e i peccatori ci passeranno davanti nel regno dei cieli, deve scuoterci e invitarci a scavare nel profondo di noi stessi fino al punto di diventare “misericordianti”, pronti ad escogitare progetti di misericordia.
FECONDARE
è l’azione che porta a coronamento quanto Gesù chiede a ciascuno. Non si tratta di essere semplicemente lavoratori della vigna e di compiere quanto il padre chiede, ma di generare nuovi figli alla fede. Il frutto della vite non è il vino eccelso da mettere in tavola per poter accompagnare i cibi che si stanno consumando, ma la vita da spendere amando e servendo perché in tanti conoscano che il Dio di Gesù Cristo si chiama misericordia e che la gioia di un figlio che emette il suo primo vagito e poi si addormenta sereno tra le braccia di un padre o di una madre è qualcosa di incommensurabile.
È una parabola che ci chiede di diventare fecondi e di non avere paura di generare nuovi figli alla fede. Il vino nuovo non va collocato in otri vecchi e va consumato nella festa della vita che non finisce mai. È il compito che ci aspetta per passare dalla formalità alla fecondità.
Il vostro parroco
Antonio Ruccia