Dal Vangelo secondo Marco
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo.
Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte.
In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
Quanto però a quel giorno o a quell’ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre».
Non si tratta di un inno alla morte da parte di Gesù. Non è il grido di disperazione che s’innalza dagli angoli più remoti del pianeta. Non è il rantolo di chi muore mentre i più vicini sono al suo capezzale.
Quello di Gesù, nel suo discorso apocalittico, è l’appello accorato di chi crede che la vita ha sempre un senso e che solo nell’impegno a costruire un domani può essere qualificata come degna di amore.
L’incontro con Cristo, quel figlio dell’Uomo che verrà, non rientra in una resa dei conti. Tutt’altro! É il suo impegno per noi. É lui che raccoglie tutti e ricostruisce un mondo nuovo fatto di uomini e donne che non sono in serie, non sono foggiati con lo stampo, non si limitano o si risparmiano nello spendersi per gli altri ma creano un mondo in cui l’alba nascerà e darà vita nuova.
“Quando vedrete accadere queste cose” conoscerete che Egli è vicino. Conoscere è il verbo della vita che nasce. In quel verbo c’è tutta l’ansia di Maria di Nazareth che chiede il perché del suo essere madre. É il verbo di chi genera cose nuove e che le ricrea il giorno successivo.
Siamo nati per vivere e per amare. Siamo nati per creare la bellezza.
Scoprendo Gesù Cristo anche la morte ha un senso.
Per questo diciamo no alla solitudine, alle guerre, a tutto ciò che appesantisce il mondo. No ai momenti di scoraggiamento e alla cultura della degenerazione.
L’invito è chiaro: mettersi in gioco.
La cultura di oggi sta creando spesso degli ectoplasmi che non hanno senso e voglia di vivere. A questa società dobbiamo rispondere con la bellezza. Non quella che esce dai centri estetici o dalle cure termali o peggio ancora quella rigenerativa fatta di estrogeni psicologici che si sgonfiano dinanzi al primo ostacolo.
Dobbiamo fondare la cultura delle famiglie nuove. Quelle che aprono la casa a Cristo; quelle che danno spazio ai poveri; quelle dove un figlio va promosso e poi inviato a generare altra bellezza altrove.
Per questo dobbiamo essere una Chiesa che esce all’alba, che non disprezza nessuno e che grida a squarciagola la gioia di esistere. Diciamo no alla cultura borghese della vivisezione umana; a quella della paura che ci fa precipitare verso il vuoto; no alla morte procurata e sì alla bellezza di essere cuore per tutti.
È l’alba della Pasqua e della Chiesa che verrà. Una Chiesa che celebrerà le sue Eucaristiche nelle strade e non avrà paura di sorridere a tutti per dire che Cristo è amore.
Il vostro parroco
Antonio Ruccia