Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 15, 1-8)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l’agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato.
Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano.
Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».
Sembra uno strano discorso quello fatto da Gesù ai discepoli nella “stanza al piano superiore”. Erano tutti nel Cenacolo, pronti a celebrare la ritualità della Pasqua nei minimi dettagli. Erano già seduti a tavola e non aspettavano altro che mangiare. Volevano celebrare il passaggio dall’antica schiavitù egiziana. Nei loro cuori, però, serpeggiava l’idea della supremazia anzichè quella dell’amore e del servizio che a breve avrebbero visto messo in pratica da Gesù nel gesto della lavanda dei piedi.
In questo strano “quadretto familiare”, Gesù pronunzia verbi inaspettati come tagliare, potare, gettare ma soprattutto: PORTARE.
Non si trattava di un’azione di facchinaggio o derivante da schiavitù pregresse. Era una vera e propria proposta. Non si trattava di portare semplicemente frutto. Si trattava di portare più frutto. Si trattava di migliorare e non rimanere nella sufficienza. Si trattava di operare scelte in grado di collocarsi, rimanendo uniti a Cristo che è la vite, tra quelli che sanno amare investendo sul domani e sulla vita futura.
Gesù chiede loro di rimanere uniti a Lui. Chiede di scegliere e di non sprecare quanto avevano imparato. Chiede di rimanere.
Rimanere è il verbo di chi crede, di chi non scappa, di chi non rimanda, di chi non ha paura, di chi sa aspettare giorni migliori, di chi ha fiducia in Cristo e nel Suo amore che è incondizionato.
Chi rimane … alla fine porta più frutto. Per questo … portare è il verbo di chi ama, di chi non sopravvive, di chi non si lagna, di chi non spreca, di chi investe, ma soprattutto … di chi risorge.
Gesù investe sugli apostoli donando loro non pesi da portare, ma amore da donare.
Impegnarsi per Cristo non è un sopportare, ma un amore da realizzare. Un cristiano che non porta amore, non costruisce nulla. Resta arido e asettico e alla fine distrugge tutto.
La Chiesa che a volte divora e distrugge, è quella che arranca e si lamenta: è una chiesa che piange il Cristo morto e torna indietro rimanendo delusa di tutto.
La Chiesa che PORTA amore è una comunità a cui IMPORTA … tutto! Per questo produce più frutto ed è una Chiesa che “frutta”. È la Chiesa a cui importa che tutti raggiungano la santità, ma a cui importa anche un giusto modo di vivere. Un’equa economia, una terra da risanare, un lavoro da dare, un annuncio della risurrezione da contestualizzare, una carità da non dimenticare e un servizio da continuare: questo è fruttare. Questo è risurrezione!
Il vostro parroco
Antonio Ruccia