DAL VANGELO SECONDO GIOVANNI (Gv 10,11-18)
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
La caratteristica del pastore di cui Gesù ci parla, è la bontà. Per farla breve, il pastore “buono” non si limita a compiere semplici gesti o ad esprimere belle parole. La bontà è la tipicità del suo operato e lo porta ad essere buono con tutti. Non con alcuni, non con privilegiati, non con esperti del buonismo, ma indistintamente … con tutti.
Nel libro del profeta Ezechiele, al capitolo 34, c’è un rimprovero da parte del Signore contro i pastori del suo popolo: non sono buoni! In altri termini non agiscono per amore, ma per il proprio interesse; non proteggono le pecore, ma addirittura le sfruttano.
È proprio nei confronti di questo tipo di pastori che Gesù si contrappone indicando la bontà come caratteristica indispensabile per definire il ruolo che spetta a chi svolge questo compito. Anzi definisce chiaramente il distintivo per riconoscere chi è il vero pastore: è colui che “dà la vita per le proprie pecore”.
Gesù usa il linguaggio della “bontà” per comunicare con tutti. È questa la nuova caratteristica del pastore che Gesù delinea. È nell’accoglienza di tutti che si mostra palese la bontà del pastore.
Gesù dichiara apertamente che le ristrettezze e le logiche del rinchiudersi nel mondo delle proprie sicurezze non aprono la strada alla bontà. Lo afferma chiaramente: “ho altre pecore che non provengono da questo recinto”. Già in precedenza Gesù aveva detto che la sua funzione di pastore era quella di far uscire le pecore dal recinto, ma non poi per richiuderle, bensì per liberarle. Gesù dichiara apertamente terminato il tempo del buonismo e aperto quello in cui sarà proprio il pastore a cercare le pecore che non hanno mai fatto l’esperienza della sua bontà; sarà lui a comunicargliela e a mostrargliela.
E’ proprio questa la caratteristica della Chiesa e dei cristiani usciti dal sepolcro e pronti ad essere missionari della risurrezione. È la bontà che definisce la Chiesa casa di tutti e per tutti. Una Chiesa aperta dove le barricate e i recinti non servono più e dove la bontà caratterizza l’agire di ogni cosa.
Dov’è la bontà del mare, della terra, dell’amore, del servizio, della paternità e della maternità, del mettere in luce e dell’educare o del generare coscienze profetiche? Non abbiamo che da rispondere in un unico modo: ogni volta che avremo collaborato a costruire quel di più che rende il mare non solo bello, ma utile senza sprecarlo; la terra non solo bella, ma vivibile; ogni volta che saremo non genitori, ma collaboratori nell’amore; non stipendiati del bene, ma educatori pronti a spendersi per sempre e in ogni circostanza; non semplici cristiani della domenica che pretendono di avere il passaporto del paradiso, ma credenti pronti ad affermare che ogni vita non va pagata e ogni persona non va usata, diventeremo parte del “popolo della bontà” che non fa buonismo, ma realizza l’amore di Cristo.
Quando avremo cicatrizzato le ferite dei chiodi del Cristo; quando avremo curato il costato squarciato dal soldato sulla croce; quando avremo unto di olio le piaghe del Crocifisso, potremo dire che saremo diventati buoni come il pastore.
Avremo costruito il santuario della bontà. Un santuario fatto di persone che hanno deciso di allargare i confini delle chiese.
Per questo la bontà è tipica della Chiesa in uscita. Mentre al tempio erano le persone che dovevano andare, qui ci sono un gregge, un pastore, una Chiesa in movimento che vanno verso le persone, verso tutti, perché tutti hanno bisogno di amore, di compassione e di comprensione.
Questo è il distintivo che ci permette di essere buoni come Gesù.
Il vostro parroco
Antonio Ruccia