Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 3, 14-21)
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo:
«Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna.
Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
C’è un desiderio recondito insito in ogni uomo: arrivare a Dio e diventare come Lui. Un desiderio che, quando viene insistentemente perseguito, diventa una dipendenza tale da arrivare a forme estreme, persino violente, pur di raggiungere il risultato agognato.
Fu Adamo con la sua donna, Eva, agli inizi della creazione a desiderare questo. Furono coinvolti dall’inganno del serpente. Esso li circuì e li coinvolse al punto far loro desiderare di diventare come Dio: assumere le sue stesse sembianze e le sue stesse potenzialità. Dio, però, non solo li scovò nel sottobosco della loro intimità, ma li punì. Obbligò l’uomo al lavoro per procurarsi il sostentamento e condannò la donna al dolore nel momento del parto, nel giorno più bello della sua vita.
Anche Prometeo, che era un titano, un gigante amico dell’umanità, aveva osato sfidare gli dèi dell’Olimpo. Amico dell’uomo e fautore del suo progresso, rubò il fuoco agli dèi per darlo agli uomini. Zeus, dall’alto della sua potenza, lo punì: lo incatenò a una rupe ai confini del mondo dove un’aquila si recava ogni giorno per divorargli il fegato.
Anche Sisifo aveva osato lottare contro gli dèi. Furbo e astuto, collocatosi dalla parte dell’umanità, era addirittura riuscito ad ingannare Thanatos (il dio della morte), incatenandolo dopo averlo fatta ubriacare, tanto che nessuno più moriva in battaglia. Battaglie volute dagli dèi, pronti a giocarsi vite umane al pari di chi oggi gioca a risiko. Anche lui fu punito. Una punizione eterna che lo costringeva a spingere una pietra dalla base alla cima di un monte. Appena raggiunta la meta, l’equilibrio instabile faceva precipitare il masso a valle e Sisifo doveva ricominciare eternamente tutto da capo.
Anche Nicodemo, cultore della Scrittura e membro indiscusso del Sinedrio, amava l’umanità e di notte incontra Gesù e chiede spiegazioni su come accendere la luce nuova per l’umanità.
Cos’era la bella notizia di cui si parlava? Era forse quella che tutti aspettavano ? Era arrivato colui che avrebbe riscattato il popolo oppresso che da anni chiedeva una mano per sconfiggere il nemico?
Lui che aveva raggiunto quel posto tra i “grandi” della Legge; lui che non aveva eguali a livello di conoscenza particolare dei testi biblici; lui che aveva scelto la strada della diplomazia per cercare una soluzione al “caso” Gesù” che stava per essere esaminato dinanzi al tribunale degli saggi, chiede una luce.
Gesù gli risponde con parole che Nicodemo non si sarebbe mai sognato di ascoltare. Gli cita la Bibbia. Per giunta l’episodio del serpente di rame nel deserto che salvò la vita agli Israeliti solamente con uno sguardo, dopo il loro grande peccato. Loro che avevano costruito un vitello d’oro, sostituendolo al Dio che li aveva fatti uscire dall’Egitto, erano stati salvati e amati solo perché avevano guardato un pezzo di rame.
Fino a questo punto l’esperto Nicodemo non fece una piega. Ma fu letteralmente messo a tappeto quando gli comunicò che sarebbe stato lui, Gesù, a salvare tutti, salendo sulla croce. Lui, figlio di Dio, sarebbe stato inchiodato per salvare l’umanità. Affermò, lasciando basito Nicodemo, che il suo Dio, aveva cambiato strategia. Non era più il Dio cattivo del passato. Non era uguale a Zeus o agli altri dèi dell’Olimpo. D’ora in poi il suo Dio sarebbe stato AMORE.
Un amore che avrebbe reso manifesto nella crocifissione di suo Figlio. Avrebbe riscattato tutti, nessuno escluso, accendendo la luce dove le tenebre avevano preso piede, ridonando la vita dove la morte appariva predominante, sconfiggendo il male che, con tutti i suoi tentacoli, appariva indistruttibile.
La croce, ma soprattutto il Crocifisso, sarebbe diventata una pro-posta d’amore. Chi avrebbe creduto nel Crocifisso non sarebbe stato più uno schiavo costretto a scappare dalle grinfie dei potenti. Sarebbe diventato anche lui un riscattante, pronto a contribuire a slegare ogni persona dalle catene assurde delle schiavitù.
Il Crocifisso avrebbe riscattato i bambini sfruttati, le persone mercificate, i poveri raggirati, i deboli oppressi e non solo li avrebbe amati, ma soprattutto li avrebbe riabilitati. Per dirla in breve: RISCATTATI, senza alcun prezzo da pagare. Con il suo sacrificio li avrebbe definitivamente riabilitati.
Sarebbe stato Lui, dall’alto della croce a guardare ognuno e a riscattare tutti definitivamente. Amati e riscattati è questa la proposta che ancora oggi ci indica.
Pasqua è passare dalla logica dell’oppressione e della sottomissione a quella dell’amore. Dall’essere sotto scacco a essere riscattati, oltre che, … amati … per sempre!
Il vostro parroco
Antonio Ruccia