Illuminanti – domenica 28 febbraio 2020

Dal Vangelo secondo Marco (Mc 9, 2-10)


In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli.
Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro.
Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.

Talvolta le scelte da operare sono difficili da comprendere  immediatamente. Tante volte gli stessi discepoli, pur vivendo fianco a fianco a Gesù, gli hanno domandato il perché di determinate scelte fatte da lui e, nonostante le risposte ricevute, non hanno compreso. Resta il fatto che Gesù non ha mai imposto nulla. Ha domandato che fossero gli stessi discepoli a compiere le scelte. Più volte ha ribadito di non aver bisogno di esecutori di comandi, ma di uomini liberi che, con il proprio cervello, facciano scelte da cui si possano intravedere proposte di vita nuova in grado di illuminare la strada di tanti altri che con difficoltà riescono a vedere la luce nel tunnel buio che stanno percorrendo. 

Gesù dal Tabor, il monte della Trasfigurazione, dove conduce con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, gli stessi che porterà nella notte oscura del Getsemani, lancia un invito esplicito: diventare illuminanti. In altri termini testimoni credibili in grado di produrre un’energia vitale tale da portarli a dar luce a chi vive nel buio più cupo della vita. 

Lo ridice anche noi: illuminanti e credibili per mettere in luce che Cristo è la vita che non si spegne, l’amore che non finisce, la gioia che non termina. La sua vita è una luce che continua ad irradiarsi nel buio di chi prova a spegnerla con strumenti di morte, di chi continua a produrre armi per far emergere la forza o di chi, costruendosi un alibi di ferro, non ha difficoltà a porre fine alla vita di un altro soprattutto quando è indifeso o non può pronunciare parola. 

Gesù è la luce che si accende sul monte Tabor. L’evangelista Marco lo presenta in contrapposizione ad un altro monte, il Calvario, dove buio e tenebre tentano di annientare definitivamente la croce di Cristo che si erge come segno di vita dinanzi ad un popolo indaffarato a preparare una pasqua rituale e dinanzi ad un manipolo di romani pronto a sedare le rivolte di astiosi ebrei. 

E’ sul Tabor che Gesù fu trasfigurato. Insomma … si dona all’umanità mostrando la sua immensa luce. Ed è sul Tabor che, dinanzi agli sguardi attoniti di Pietro, Giacomo e Giovanni, appaiono Mosè ed Elia. Il primo a ratificare che il cammino verso la liberazione totale dell’uomo è tracciato sulla stessa scia di quella del popolo ebraico in cammino verso della terra promessa; il secondo per ribadire che la forza di Dio contro i nemici non sta nella potenza e nella violenza, ma si raggiunge con la preghiera e l’abbandono nelle mani misericordiose di Dio.

Sul Tabor, il traghettatore del popolo d’Israele e il profeta con la voce possente sono segni eloquenti della luce di Dio. Due uomini che fanno da contraltare ad altri due che, sul Calvario, mostreranno che Gesù intende salvare tutti, anche chi nella vita ha spento ogni luce e ogni segno di vita. 

E il passaggio che oggi ci viene richiesto è lo stesso indicato da Gesù a Pietro e agli altri due: da residenti a illuminanti. 

Dinanzi alla bellezza della luce sfolgorante del volto di Gesù, Pietro subito gli propone, con la sua “faccia tosta”, la residenzialità. E’ quella logica della sicurezza egoistica che fa affermare di essere e sentirsi arrivati. E’ la logica di conservare Dio gelosamente tutto per se stessi. E’ il credere in un Dio che privilegia alcuni e scarta altri;  un Dio senza storia, asettico e poco incisivo;  un Dio del quieto vivere e dello stare bene; un Dio che più che illuminare tutti deve essere circoscritto a beneficio di alcuni. 

Ma la voce del Padre, con un chiaro intervento, puntualizza che Cristo è la luce che illumina la storia e che gli illuminanti non potranno mai essere credibili se non emaneranno quella luce verso gli altri.

Le scelte di una fede “residenziale” devono lasciare il posto alla svolta di una Chiesa e di cristiani illuminanti. Cristiani che non restano abbagliati da Cristo, ma sanno dare luce proseguendo il cammino e dando futuro a tutti. 

E’ questo che chiede a Pietro, Giacomo e Giovanni. E’ questo che chiede a noi: uscire da una vita di penombra, da un cristianesimo della superficialità e dell’anonimato per dare dignità ad ogni persona e ad ogni bambino in particolare, gridando il no ad ogni forma di xenofobia, ad ogni forma di discriminazione e ad un’economia che stritola o uccide. 

Illuminare di amore tutto ciò che si è oscurato è la prima luce di Pasqua. Tutto dipende da quanto spazio diamo a Cristo che ci ripropone di essere credenti e illuminanti per rendere bello il mondo in cui siamo e viviamo

Il vostro parroco

Antonio Ruccia