Dal vangelo secondo Matteo (Mt 28, 16-20)
In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato.
Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Sembra un po’ strano parlare dell’inizio di un cammino quando tutto sembra essere finito. Insomma, mentre Gesù sale al cielo e sul volto degli Undici certamente saranno scese le lacrime (se non di tutti, almeno di qualcuno), comincia una storia nuova. Questa è l’ora di recidere il cordone ombelicale.
L’evangelista Matteo delinea i confini ( se di confini si può parlare) del nuovo Israele. Di una Chiesa nuova che non ha un unico protagonista, non segue un capo o addirittura un eroe, ma ha un altro soggetto: un popolo di santi e peccatori che sono chiamati a portare il messaggio di Gesù “fino agli ultimi confini della terra”.
Il tutto si svolge in Galilea. In quel crocevia delle genti fatto di popoli che già all’epoca del Battista erano stati invitati a convertirsi e a cambiare vita. Una società sulla cui carta d’identità non è riportata la nazionalità, ma la multiculturalità. Questa scena si svolge sul monte. Insomma nel luogo delle rivelazioni di Dio. Come sul monte Mosè, aveva ricevuto la Legge (i Dieci comandamenti); come sul monte Gesù aveva pronunziato la “nuova Legge” (le Beatitudini); così ora sul monte Gesù dà il mandato ad andare nel mondo.
Ma dopo averlo visto, gli Undici dubitarono. Non bastò loro averlo visto come era bastato alle donne che lo avevano visto Risorto e gli avevano stretto i piedi. Loro invece dubitarono, come Pietro già aveva fatto quando era stato invitato da Gesù a camminare sulle acque, poiché avevano paura di recidere quel cordone ombelicale che li legava. Paura di assumersi quelle responsabilità che li avrebbe portati lontano.
Gesù, dal canto suo, affida proprio a loro il mandato. Affida loro l’autorità di costruire la Chiesa e di “salvare” con il battesimo l’intera umanità. Insomma salvare tutti!
A questo proposito, ricorda loro che resterà con loro sempre. Lo aveva detto l’angelo a Nazaret a Maria sua madre: le aveva detto che Gesù sarebbe stato l’Emmanuele, il Dio con noi, sempre e per sempre!
Nascerà così, da quest’ora in cui si taglia il cordone ombelicale, la Chiesa. Bisognerà solo attendere lo Spirito. Questa è per noi l’ora di recidere il nostro cordone ombelicale, di far rinascere la Chiesa. Dovrà essere una Chiesa fatta di persone, una comunità di vita e una famiglia non appartenente a rigidi confini territoriali. Una Chiesa diversa, aperta alle sfide del mondo in cui la centralità della famiglia umana e il ruolo dell’evangelizzazione di strada dovranno mostrare che non è più l’ora della chiesa delle dipendenze e del biberon, ma di una Chiesa che da quel cordone ombelicale reciso sa generare una nuova comunità dei battezzati.
Dobbiamo imparare a condividere il nostro essere Chiesa e mostrare, soprattutto alle giovani generazioni, che la multiculturalità e multirazzialità che ci aspettano c’inseriscono a pieno titolo nel villaggio globale. Da qui l’importanza di rendere le nostre Eucarestie più vivaci e ricreare la via della carità per ascoltare il vagito della felicità. Sarà quello il momento in cui la comunità dell’Ascensione avrà tagliato il cordone ombelicale e sarà diventata sorgente di vita nuova.
Il vostro parroco
Antonio Ruccia