Molti si domandano cosa sia la missione e, per tanti, essa è semplicemente quella svolta da uomini e donne con la valigia, con direzione altro mondo. In realtà, quest’altro mondo è un mondo altro che sta accanto a noi. Per questo, è necessario far scattare la conversione da un’azione pastorale ancora incentrata sulla sacramentalizzazione, recuperando la priorità dell’evangelizzazione, per mostrare una ‘Chiesa sfrontata’ e non ‘smobilitata’.
E’ questo il senso del libro ‘Dalle dis-missioni alla missione’ in cui, accompagnato dalle parole di mons. Tonino Bello, profeta della Chiesa scalza e bagnata, don Antonio Ruccia sintetizza la dinamica pastorale da proporre, a cominciare dalle parrocchie. Il libro non è una riproposta di testi del vescovo pugliese, ma una rilettura dei cardini teologico-pastorali della svolta periferica richiesta da papa Francesco, come ha scritto l’autore nella premessa:
“La Chiesa delle insoddisfazioni è chiamata a diventare una comunità missionaria delle condivisioni. E’ la condivisione la vera forza dell’amore e delle scelte operanti: gestire la famiglia secondo le logiche del Vangelo, vivere la professione per il bene dell’umanità e non per un cieco interesse egoistico economico, investire i propri beni per creare lavoro, vivere la fraternità, rimuovere l’emarginazione attraverso un’opera di collaborazione per realizzare un mondo di pace. Questa è la strada della missione”.
Quindi don Antonio Ruccia, parroco della chiesa di san Giovanni Battista di Bari e docente di Teologia pastorale alla Facoltà teologica del capoluogo pugliese, auspica in questo testo una svolta ecclesiologica che sia in grado di sconfiggere le sonnolenze e combattere le dis-missioni che si annidano nelle comunità ecclesiali.
Perchè questo titolo?
“Non si tratta di un titolo più o meno ad effetto. Si tratta piuttosto, sotto la spinta di questo mese missionario straordinario voluto da papa Francesco, mentre si sta celebrando un Sinodo per l’Amazzonia, di prendere la consapevolezza che l’urgenza di una svolta missionaria oggi appare determinante. Dismettere non vuol dire eliminare quanto fino ad oggi è stato fatto.
Al contrario, intende rivestire e rinnovare la prassi di quell’annuncio per la costruzione del regno di Dio che è al centro del progetto di Gesù. Il tutto rimarcando alcuni testi di don Tonino Bello, profeta della Chiesa postconciliare, che già oltre trent’anni fa aveva delineato questa progettualità pastorale. Una progettualità di una Chiesa che con il suo grembiule e senza appesantirsi si mette in cammino per andare incontro, e non allo scontro, di tanti che sono alla ricerca del Signore”.
Quale è il passaggio che porta dalle dis-missioni alla missione?
“Non si tratta di un passaggio, quasi voler dire un delineare il percorso che potrebbe portare alla missione nell’attuale prassi ecclesiale. Si tratta di cogliere che urge la riproposta del Vangelo. Di una bella notizia che è Cristo. E’ il riattualizzare quanto lo stesso Maestro aveva pronunciato a Nazaret: liberare dalle schiavitù, dare luce ai ciechi, rimettere in libertà gli oppressi e azzerare tutte le pendenze esistenti.
Un passaggio che richiede una Chiesa che sia prima annunciatrice di salvezza e successivamente schiodante e liberante. E’ questa la frontiera della missione in un mondo di periferie e di persone che spesso esitano nel cercare le soluzioni alla vivibilità ambientale e alle illegalità disseminate. La risposta non sta in quell’apologetica che spesso ha caratterizzato l’agire pastorale. La risposta sta piuttosto nello smarcarsi per creare una Chiesa/comunità con i tratti dell’attenzione e della misericordia che appare l’arma disarmante per gli eccentrici uomini e donne di questo stralcio del terzo millennio”.
Quale pastorale è necessaria per una Chiesa contempl-attiva?
“Certo il termine contemplattiva coniato da don Tonino Bello in una delle sue più splendide omelie, richiede che gli ‘schiodanti’, appartenenti alla Chiesa del terzo millennio, siano in grado di cogliere che missione vuol dire diventare Chiesa di parte. Amare e lasciarsi amare dai poveri, essere determinanti al fine di dare l’opportunità a tutti di accedere ai beni della sussistenza, contribuire a far uscire tutti dal tunnel delle sofferenze e non osare minimamente di stare dalla parte delle mafie richiede ginocchia piegate in atto di abbandono.
In altri termini avere la consapevolezza che ogni azione di una nuova pastorale va pregata e realizzata nell’esperienza di una comunità che rievangelizza ‘ripartendo dai Sud della storia’. E’ la teologia trinitaria di quel Dio amore che continua a sussurrare e gridare nello stesso tempo con la voce di Gesù e poi cammina, con la forza dello Spirito, sulle strade impolverate delle favelas come su quelle asfaltate del mondo trita-persone dell’Occidente. Una Chiesa trinitaria che oscilla tra fraternità e carità”.
Nel messaggio per la giornata missionaria papa Francesco ha sottolineato che ogni battezzato è una missione: quale è il compito a cui è chiamato il cristiano?
“Papa Francesco ribadisce nel suo messaggio che non si tratta del compito del singolo. E’ il battezzato inserito nel cammino comunitario della Chiesa che diventa annunciatore di salvezza.
La vita non è una ‘casa della divina sofferenza’, dove tentare di acquisire titoli per poi accedere alla realtà ultraterrena con azioni di penitenza e autopunizione. La missione è un compito di tutti i battezzati che sono invitati a portare la gioia dell’annuncio di Gesù che la vita è un dono ; un talento da non sotterrare; un domani da dover realizzare.
Tutto ciò è possibile solo con una Chiesa che è una casa aperta dove i suoi figli ogni giorno escono per proclamare ‘fuori dal tempio’ che ogni persona è una basilica in cammino e dove la sua bellezza è rimarcata non nei mosaici delle pareti, ma nei gesti di amore e nelle preghiere insistenti fatte non con leader ma con coordinatori di Vangelo che diventano schiodanti che non termineranno mai di esserlo fino a quando non promuoveranno altre persone, che forti dei sacramenti ricevuti, potranno raggiungere gli ultimi confini della terra”.
Fonte: korazym