Dal vangelo secondo Giovanni (Gv 16, 12-15)
In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: «Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà.
Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».
Nel discorso di addio di Gesù durante l’ultima Cena, in quello che è definito da qualche esperto il “libro dell’ora” e da qualche altro “libro della gloria”, è mostrato tutto un modo nuovo di comunicare al mondo che il nome di Dio, il volto di Dio, la forza di Dio hanno un solo nome: amore.
Dio per comunicare con l’uomo usa lo stesso linguaggio del giovane nei confronti della sua ragazza, della mamma nei confronti del suo piccolo, di chi ogni giorno spende la sua vita per la causa della pace e della giustizia senza interessi.
È il Dio che si sfaccetta, ma che alla fine finisce per mostrare solamente il suo amore in modo diverso. E’ un Dio unico che si sbriciola e che si spende. Non è uno sfaccendato, ma semplicemente uno sfaccettato.
La faccia del Padre buono è Colui che crea, che genera, che cerca e che quotidianamente estrae sempre qualcosa di nuovo; la faccia del Figlio è Colui che è sempre giovane perché è la faccia del Dio del futuro, del domani, di quello che non finirà mai perché si batte per sradicare il male e s’impegna a trovare nei luoghi più impensati i volti nascosti di tanti; è la faccia del Dio delle periferie e delle realtà dimenticate, ma è soprattutto la faccia del Dio materno che gioisce come una mamma dopo le sofferenze del parto; la faccia dello Spirito è quella del Dio del coraggio che sfida i potenti quando stritolano i poveri e gli affamati, che usa i mezzi semplici per comunicare l’amore ed è la faccia del Dio che si sporca le mani stando con i poveri, perché sa che in ciascuno di essi c’è qualcosa che proprio a loro va restituito.
È ’ da qui che nasce la Chiesa come casa della Trinità e dai mille risvolti. Casa di sfaccettati e non di sfaccendati.
È la casa della bontà, dove si consuma tutto per amore; si perdona, si ricomincia e soprattutto si vive; è la casa dove gli ammalati non sono dimenticati e i figli non sono mai accantonati o tralasciati.
È la casa dei giovani che cercano sempre l’amore perché hanno deciso di impegnarsi e non di vivacchiare. E’ la casa che pone al centro quella lavanda dei piedi non perché le estremità del corpo sono puzzolenti, ma perché è dagli ultimi e con gli ultimi che ci si sfaccetta per vivere.
È la casa dei cristiani coraggiosi che sanno inventarsi il lavoro e che diventa solo il punto di partenza per i missionari della “chiesa del giorno dopo” nell’era della globalizzazione e dell’indifferenza.
La Trinità è la casa degli sfaccettati e non degli sfaccendati che si apre oggi all’amore e non si chiude mai, ma lascia la sua porta aperta per l’eternità.
Il vostro parroco
Antonio Ruccia