Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 14, 15-16. 23-26)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».
Il colloquio tra Gesù e i suoi discepoli potrebbe far pensare ad una preoccupazione del Maestro di lasciare i Dodici e di non ritenerli ancora all’altezza di portare quel messaggio di amore che Lui stesso aveva tentato di comunicare. E’ quel senso di paternità che spesso pervade palesemente anche la nostra società che ha fatto dell’iperprotettività il suo criterio di discernimento. Una società che invecchia sempre più perché racchiude in sé le paure del nuovo e di tutto quanto possa essere “fuori schema”.
Eppure proprio quel senso di paternità, palesemente manifestato, è un vero discorso di fiducia. Gesù dona loro lo Spirito affinché possano realizzare l’amore senza misura per il bene di tutti e senza distinzione alcuna. Un amore concretizzabile attraverso la logica che passa tra la disponibilità e l’oblatività.
Infatti l’amore è l’unità di misura tra uomo e Dio e tra l’uomo e il suo fratello. E’ il passaggio dal manometro all’amometro. Infatti, se il manometro è l’apparecchio per misurare la pressione di un fluido o la differenza di pressione fra due fluidi o fra due punti dello stesso fluido, l’amometro è lo strumento in grado di misura l’amore che va oltre misura.
La Chiesa dello Spirito, quella profetica che sembra più scandalizzare che evangelizzare, non può che usare l’amometro.
La Chiesa del manometro, infatti, è quella tutta regole che sa coniugare solo i verbi al passato: quelli della tradizione che fa rima con mortificazione. Poi c’è la Chiesa dell’anemometro che controlla il valore dell’area ed è sempre critica verso tutti poiché da nessuna parte riesce a trovare l’integralità della fede.
La Chiesa dell’amometro, invece, è sempre impegnata, sotto l’influsso dello Spirito, a favore della giustizia; a combattere le disuguaglianze; a operare scelte di servizio; a stare accanto ai poveri e a renderli amici e non diversi.
La crisi morale, la superficialità del vivere la fede, le discriminazioni verso gli immigrati, la paura e la logica del sospetto verso le diversità, lo spreco delle vite umane come fossero merce da macello spingono l’amometro verso il basso.
La Chiesa che si fa comunità misura tutto con l’amometro e non basta nemmeno l’anemometro perché si lascia guidare dallo Spirito. Non genera confraternite di una fede folcloristica, ma politiche che sappiano porre i giovani al centro e dove nessuno è un escluso. La Chiesa che usa l’amometro non porta bombole di ossigeno a rimorchio, ma sa soffiare con forza e non ha paura di annunciare che Cristo è l’amore senza limiti.
Il vostro parroco
Antonio Ruccia