Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6,51-58
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
In questa pagina evangelica Gesù sembra ripetere testardamente che chi mangerà la sua carne avrà la garanzia della vita eterna. Sembra essere un discorso riguardante il futuro. Semplicemente una forma apologetica per indirizzare tutti verso un comportamento “da paura”. Insomma comportarsi bene perché dietro ogni azione sbagliata ci sarà una condanna da dover essere eseguita.
In realtà basta leggere attentamente questi otto versetti del Vangelo per accorgersi che Gesù non parla del futuro, ma del presente. Dice che “ha” e non “avrà” la vita eterna. Dice di acquisire nell’oggi la sua umanità, il suo modo di abitare la terra e di vivere le relazioni con tutti. Insomma di essere come un bambino che si nutre del latte della sua mamma nell’oggi, sentendosi parte integrante e vitale della stessa che nell’attimo in cui nutre lo rilancia verso il futuro .
Il suo corpo diventa nell’oggi l’esperienza di un Dio non da comprare o da commercializzare, ma un’esperienza vitale da celebrare. Con il suo Corpo e il suo sangue, i cristiani non sono più uomini e donne a tempo determinato, datati e circostanziati, bensì coraggiosi testimoni di un amore eterno.
I cristiani dell’attualità hanno le loro fondamenta nella vita eucaristica.
Da qui l’esigenza di rieducare ai valori evangelici e ripercorrere con educatori saggi “itinerari di periferia” per incontrare gli assenti; di rilanciare la famiglia come luogo di accoglienza e di stabilità e non semplicemente di convivenza e di casa di passaggio; di rimodellare la parrocchia secondo criteri che esulano dall’attesa e dal piagnisteo e proporre spazi di confronto “fuori perimetro” dimenticando che il campanile serve a sollecitare e non semplicemente e a invitare.
L’esperienza di una “chiesa eucaristica” non è quella dei cristiani di un avanzo di tempo perché richiede gesti rivoluzionari. Le Eucarestie non sono croci lasciate nei deserti ma semi di amore marciti che generano nuova vita.
Di qui l’impegno a:
• occupare gli spazi;
• mettersi in adorazione (almeno una volta la settimana);
• consumarsi in opere di amore.
Per essere oggi piccoli semi di vita eterna.
Il vostro parroco
Antonio Ruccia