Dal vangelo di Giovanni (Gv, 15,9-17)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Una scena surreale come quella del Cenacolo dove prima di “donarsi” ai suoi in un pezzo di pane e in un sorso di vino quando Gesù si era chinato sui piedi degli Apostoli aveva lasciato questi esterrefatti e lascia anche noi sbigottiti dopo duemila oltre che preoccupati di quanto ancora questo gesto voglia indicarci.
Perché amare in questo modo dove i servi diventano signori e gli schiavi sono liberati?
Perché quel “Maestro di strada” consacrato da un popolo di beati decorati con le medaglie della povertà, della mitezza, dell’attenzione ai malati e ai carcerati, degli impegnati contro le violenze e i soprusi e per giunta laureatosi sulla croce con le braccia allargate al mondo arriva a chiamare amici quelli si fanno servi e ultimi?
La risposta sta nel viaggio dei centimetri tra i piedi e il cuore. In quel viaggio fatto di gesti straordinari dove si comprende che non basta essere schiodanti del Crocifisso ma amanti del Risorto. Infatti, ogni gesto di amore gratuito fatto tra il tabernacolo e il servizio a tutti è un millimetro di solidarietà.
L’amore si misura in gratuità.
Amare è donare e non è soffrire. Amare è evangelizzare con i piedi bagnati dal Maestro di strada per riportare tanti al Vangelo e scandalizzare con i gesti dell’oblatività anche i più riottosi. Amare è concretizzare con i gesti di disponibilità le attenzioni a quanti sono dimenticati e disprezzati. Amare è andare a trovare i poveri;, amare è alzarsi dalla scrivania per incontrare i giovani delusi e poi tornare a studiare; amare è sconfiggere le paure di partire per un paese lontano e fare le vacanze con i bambini degli orfanotrofi abbandonati; amare è costruire famiglie nuove pronte ad accogliere altri bambini; amare è non dimenticarsi di pregare ogni giorno; amare è decidersi di dare per sempre la vita al Signore nella Chiesa del terzo millennio. Amare è un “verbo all’infinito”.
La misura dell’amore sta in ogni millimetrico dono fatto senza tornaconto. Per questo una Chiesa dai piedi nuovi che è sempre fuori dai suoi perimetri misura con millimetrico amore e afferma che solo donando si riesce ad amarsi gli uni gli altri.
Il vostro parroco
Antonio Ruccia