Dal vangelo secondo Marco (Mc 1, 7-11)
In quel tempo, Giovanni proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Ed ecco, in quei giorni, Gesù venne da Nazaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni. E, subito, uscendo dall’acqua, vide squarciarsi i cieli e lo Spirito discendere verso di lui come una colomba. E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».
La festa del battesimo di Gesù che chiude il tempo di Avvento e apre quello di una Chiesa pronta a uscire dall’emotività del presepe, ci offre l’opportunità di non sentirci tristi e soli. Al contrario dischiude una proposta che non può essere ritenuta marginale. Si tratta di un’indicazione sconcertante per la realizzazione di una Chiesa/comunità estro/versa che coglie come gli spazi vanno attaccati e i vuoti colmati.
Il Vangelo di Marco, il primo scritto in ordine cronologico rispetto agli altri tre, ci pone di fronte alla scelta di fare una sintesi tra vocazione e missione. Con il battesimo, infatti, inizia per ciascuno il tempo della in-vocazione. In altri termini il tempo in cui oltre a sentirsi chiamati si è anche inviati: insomma in-vocazione, in cammino, in marcia, in prospettiva … per la realizzazione dello stesso progetto rinvenibile da quanto oltre duemila anni fa annunziato Gesù.
Il fiume Giordano è quello del passaggio. Proprio passando il fiume, il popolo d’Israele rimise piede nella terra promessa. Al Giordano si realizza il passaggio dalla schiavitù alla libertà. Gesù ci arriva da Nazareth che apparentemente è un paese insignificante, ma è lo stesso luogo in cui Gesù dalla sua sinagoga aveva “s-voltato” verso altre direzioni. E’ da Nazareth che Gesù propone un annuncio a favore di “tutti” per una notizia non più circoscritta ma divulgativa.
Con il battesimo di Gesù si esce definitivamente da una religiosità della formalità e si entra in quella della creatività. E’ lo stesso Giovanni il Battista che indica in Gesù il Dio/nuovo: un Dio che slega, che scioglie, che apre la strada a un annuncio di misericordia e a una realizzazione di un mondo con i contorni della disponibilità e con il cuore dell’oblatività.
Al fiume Giordano nasce “in fieri” una Chiesa “in missione”. E’ proprio in quel luogo che si aprono i cieli e lo Spirito scende verso di lui come una colomba che rimanda a due modi concreti per la realizzazione delle scelte di questa comunità che cammina: amore e pace. E’ il segno della rinascita che ritroviamo nel post diluvio quando la colomba torna indietro con il ramoscello d’ulivo in bocca e alla descrizione del cantico dei Cantici dove l’Amato cerca la sua Amata come una colomba nelle fenditure della roccia.
E’ questa la missione nuova di una Chiesa fuori dalle formalità: una Chiesa evangelizzatrice, fatta di laici e serva dell’umanità che diventa comunità attraverso una progettualità di amore passionale e di pace realizzata.
Insomma in-vocazione per una “Chiesa/comunità sempre in cammino che non si stanca di evangelizzare. E’ la comunità che si rende presente nelle case, con i mezzi del web, con le forme di presenza nei luoghi delle periferie esistenziali, che propone e ripropone i valori della vita, della pace e della giustizia.
La Chiesa “in-vocazione” che fa sintesi tra vocazione e missione legge la storia con l’occhio del povero, con il cuore dei Sud dell’umanità, con le fratture di tutti i violentati e con la forza delle instancabili persone che pregano perché tutti possono amare Dio come padre e tra loro sentirsi una comunità di fratelli amati e riamati.
Il vostro parroco
Antonio Ruccia