+ Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 11, 25-30)
In quel tempo, Gesù disse: “Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero”.
Non gli sarà spezzato alcun osso, sulla croce a Gesù agonizzante e pronto ad emettere l’ultimo respiro nessuno osò spezzargli le gambe come i romani facevano abitualmente con i condannati a morte. Perché? Il Gesù condannato e crocifisso aveva proprio dalle ginocchia cominciato la sua rivoluzione d’amore. Non c’è immagine più efficace e intrigante se non quella di scoprire che anche Gesù si è messo in ginocchio. In ginocchio dinanzi ad una storia di uomini e donne che ancora procedono “in fila indiana “, uno dietro l’altro è che, in un momento particolare, si fermano per contemplare la bellezza agognata e mai toccata. La storia dei potenti, delle cravatte, degli abiti lunghi delle firme Lady, lascia definitivamente il posto agli esamini migranti svuotati di tutto e scesi in fila indiana dalle navi che li hanno condotti a riva. È la storia delle zone rosse, quelle blindate per le paure magistralmente costruite per incutere le strategie delle tensioni che lasciano il posto ai fabbricatori di umanità.
È la storia di un figlio nato a Betlemme, diventato un immigrato e rientrato a Nazareth per imparare a piallare, levigare, tagliare, perfezionare e elaborare un qualcosa di geniale in grado di consolidare quanto stava scricchiolando nella vita per i tarli malefici che la corrodono. È la storia di Gesù che “si mette in ginocchio ” e che, oltre a tappare i buchi dei tarli , ha elaborato strategie d’amore cominciando dalle cose accantonate. È Lui che a noi, uomini e donne del terzo millennio ci chiede, in ginocchio, di non appesantirci. I campi incolti e le strutture abbandonate delle nostre chiese, le canoniche “ragnatellate ” , gli annunci non più riproposti, sono il frutto delle barriere innalzate con i dimenticati e le persone defenestrate, preferendo le raccomandazioni contraccambiate con i sacramenti regalati. Il Cristo in ginocchio ci chiede di essere una Chiesa in ginocchio e di scegliere la strada di una comunità che si pesa non per gli sforzi ma per l’amore che dona. La Chiesa che si inginocchia ricomincia quotidianamente dai piccoli. Per una nuova evangelizzazione bisogna reiventare cominciando dalle realtà dimenticate. Le scelte di Cristo non si misurano in kilogramm i ma in gesti d’amore gratuiti che sulla bilancia si segnano con atti di abbandono e gesti di servizio.
Il vostro parroco
Antonio Ruccia